Periodico pubblicato a partire dalla fine degli anni Trenta dalla Società Bemberg di Gozzano (Novara), azienda nata nel 1926 sulle rive del lago d’Orta e specializzata nella produzione di filo artificiale.
Nata come veicolo promozionale per gli articoli legati al marchio Bemberg, la rivista era indirizzata prevalentemente ad un pubblico esterno. La natura pubblicitaria del periodico, vetrina di esposizione per i prodotti realizzati con i filati Bemberg, spiega la grande attenzione riservata all’aspetto visivo delle sue pagine. Esponenti di spicco della grafica milanese come Albe Steiner e Ezio Bonini dello Studio Boggeri ne hanno curato il design, mentre il celebre illustratore René Gruau ha contrassegnato con le sue copertine gli ultimi anni della rivista.
Alla sua nascita, Bemberg appare indirizzata ad una clientela internazionale di estrazione alto borghese. Tutti i fascicoli del periodo precedente al secondo conflitto mondiale sono caratterizzati da una veste tipografica lussuosa e sperimentale. Le copertine sono spesso fotografiche e anche all’interno Steiner fa largo uso del collage e del fotomontaggio, declinato secondo il gusto tipicamente tardo-surrealista di quegli anni. Frequente anche l’impiego della tecnica del fotogramma, mentre i prodotti Bemberg sono spesso ambientati in interni moderni o associati alle geometrie dell’architettura razionalista. Le carte utilizzate sono particolarmente pregiate e in alcuni casi alle pagine sono incollati campioni di tessuto. I pochi testi che accompagnano la rassegna dei vari prodotti sono tradotti in varie lingue: inizialmente in francese, inglese e tedesco. Successivamente al posto dell’inglese e del francese subentra lo spagnolo. Infine, gli ultimi numeri anteguerra escono in edizione unicamente italo - tedesca.
I prodotti presentati sono quelli realizzati da piccole ditte locali che lavoravano con i materiali e i tessuti fabbricati dalla Bemberg: si tratta di realtà produttive per lo più milanesi e lombarde, che realizzano non solo abiti ma anche maglieria, sciarpe, cravatte, calze e guanti, pigiami, impermeabili, tendaggi e tappezzerie. L’obiettivo dichiarato in questi anni è quello di «correggere la percezione comune che la Bemberg produca solo calze». È vero, si dice in un articolo del 1942 (n. 3, Il filato Bemberg), che la ditta ha fatto molta pubblicità soprattutto in quel settore e che la qualità delle calze Bemberg è ampiamente riconosciuta, ma «una volta per sempre si vorrebbe qui affermare in modo definitivo che la Bemberg S. A. di Gozzano, che occupa attualmente oltre mille operai, è soltanto una filatura, la quale fornisce a sua volta la materia prima ai calzifici, ai maglifici, alle tessiture».
A partire dagli anni ’40, la rivista comincia ad ospitare alcuni testi di dimensioni più lunghe e non direttamente funzionali alla presentazione di un prodotto. Si inaugura la tradizione degli articoli dedicati ai paesaggi del gozzanese e in particolare al lago d’Orta, ma non mancano testi che descrivono altre località italiane come Sorrento o evocano paesaggi esotici trattando argomenti come Le palme o Il corallo. La moda, in generale, comincia ad essere uno dei temi centrali della pubblicazione, mentre ricorrono i resoconti di esposizioni dedicate ai tessuti in cui era coinvolta l’azienda.
Bemberg si presenta come una rassegna indirizzata principalmente ad un pubblico femminile, cui i redattori si rivolgono con consigli del genere «voi dovete sapere che» (n. 1, 1940). La rivista intende essere una «rapida sintesi della produzione del filato Bemberg […] un’amica cordiale che entrando nella vostra casa, vi informa, vi distrae, vi diletta», ma allo stesso tempo ambisce a costituire « l’espressione dell’operosità fattiva e tenace di questa nostra grande industria italiana» (n. 2, 1940). Nelle sue pagine trova posto quindi anche la cronaca di alcuni rituali che appartengono al mondo interno all’azienda come, ad esempio, l’Inaugurazione della nuova sede del Dopolavoro aziendale Bemberg (n. 4, 1941), che fornisce l’occasione per celebrare con grande retorica, in pieno conflitto bellico, «l’“asse” tra la Bemberg italiana e la Bemberg tedesca». Nonostante i tempi di guerra, le pagine di Bemberg continuano all’inizio degli anni quaranta a evocare, attraverso i prodotti mostrati, atmosfere sofisticate, «alcuni momenti interessanti di vita vissuta sportivamente, al mare, in montagna in crociera» (n. 3, 1942).
Il periodico interrompe però le pubblicazioni a Natale del 1942 (n. 4): nella pagina successiva al sommario, una fotografia accosta a giocattoli e doni natalizi un paio di scarponi militari, che richiamano l’impegno italiano al fronte.
Bemberg ricompare soltanto nel 1948, con un numero in formato ridotto la cui copertina è firmata da Jeanne Grignani. Un editoriale intitolato Ritorno cita, insieme alla copertina dell’ultimo numero uscito nel ’42, proprio quell’immagine con i due scarponi che intendeva ricordare «i dolori e i sacrifici della guerra». Ma i toni sono ottimisti e di fiducia nel futuro: si parla di rinascita dalle rovine e si afferma che la Bemberg «ha ritrovato le sue energie ed è più forte di prima». Ci si rivolge quindi di nuovo al pubblico con un «omaggio editoriale» che intende costituire «un amichevole messaggio della Bemberg» e offrire «qualche pagina che riproduca i prodotti migliori nati dal felice impiego del nostro filato, per donare idee e consigli». Non mancano, in questo articolo che apre la nuova stagione della rivista, un riferimento alla moda del tempo ritenuta particolarmente adatte ai tessuti Bemberg, che consentono «la conservazione del tocco creatore del modellisti senza ricorrere ad amidi o a trucchi artificiosi» e un richiamo alla «fatica e la cura di migliaia di lavoratori».
Con il secondo numero del dopoguerra, che mostra in controcopertina una veduta aerea degli stabilimenti risparmiati dalle bombe, il formato torna ad essere più grande mentre risulta evidente il contributo di Ezio Bonini, che cura l’impaginazione per conto dello Studio Boggeri. È molto probabile che anche molte scelte editoriali fossero compiute nella sede milanese dello studio di Antonio Boggeri, indicato in sommario come responsabile della «coordinazione generale». I testi sono ormai soltanto in italiano e trattano molto di moda, anche con alcune rubriche fisse come Lettera da Parigi a cura di Vera Rossi Lodomez, che resterà a lungo collaboratrice di Bemberg.
Continuano ad essere numerosi gli articoli dedicati alle località vicine a Gozzano e soprattutto al lago. Il rapporto dell’industria con il lago, destinato ad emergere drammaticamente in seguito per i problemi legati all’inquinamento delle acque, viene presentato in termini decisamente armonici, con toni spesso retorici: nel n. 3 del 1949, la quarta di copertina recita ad esempio: « Poco lontano dalle rive del lago d’Orta, a Gozzano, l’industria della Bemberg S. p. A. aggiunge con la sua fiorente attività un nuovo motivo di interesse alla zona». O ancora, nel numero del gennaio 1957: «Il legame fra la nostra società e la zona del lago d’Orta è così intimo da costituire esempio mirabile di collaborazione tra la natura e l’opera umana […]. Il filo bemberg nasce dall’acqua e dalla purezza dell’acqua […] dipendono la sua finezza e la sua sericità».
Nel corso degli anni cinquanta viene dato molto risalto anche al radicamento dell’azienda a Milano attraverso due iniziative: l’apertura di un negozio «sotto i portici della ricostruita P.zza San Carlo» (n. 4, 1950) e la costruzione di una sede amministrativa, situata di fronte a Brera. L’apertura di un punto vendita milanese, cui seguiranno i negozi aperti in altri grandi centri italiani, rispondeva alla stessa logica che portava la Bemberg a pubblicare una rivista: rientrava cioè all’interno di una politica di promozione del marchio, volta a rompere il binomio Bemberg-calze e ad associare saldamente l’identità dell’azienda di Gozzano alla grande varietà di prodotti realizzati con i filati Bemberg. Il «negozio modernissimo» che gareggiava «con l’antica nobiltà del luogo» offriva al pubblico «un punto di orientamento sicuro, un centro dove, anche in questa fase di ridisciplina del mercato si possa con certezza e subito trovare la migliore produzione Bemberg» (n. 4, 1950).
In questa stessa direzione andavano una serie di azioni strategiche volte a contrastare «il malcostume post-bellico» della contraffazione e dell’uso non autorizzato del marchio (n. 5 1951). La rivista dava grande risalto a tali iniziative legali, di controllo in varie sedi del paese e punti vendita, e informative, finalizzate a far diventare i consumatori alleati in questa battaglia.
Nei fascicoli del 1951 ad essere protagonista è la nuova sede amministrativa, con le sue «architetture moderne» affacciate «sull’antica piazzetta di Brera» (n. 6, 1951). La nuova sede è illustrata da disegni e fotografie anche nel n. 7, del dicembre 1951, in cui si arriva a citare la carta d’Atene, per difendere la scelta di forme moderne in un contesto storico: «Gli architetti di questo edificio hanno appreso con sollievo che i loro committenti, i dirigenti della società Bemberg, erano ben consci di questa definitiva affermazione della architettura moderna che è anche la grande lezione della storia».
Anche in questi anni l’impianto visivo della rivista è particolarmente curato e efficace. L’intervento di Ezio Bonini, grafico di origine svizzera e allievo di Max Huber, è di chiara impronta modernista, ma si coniuga ad un gusto spiccato per la trovata spettacolare e si caratterizza per la varietà delle soluzioni proposte. La sua mano è evidente non soltanto nelle copertine (firmate da Bonini soltanto a partire dal dicembre 1951) e negli articoli dedicati alla produzione Bemberg, ma anche in alcune zone meno centrali della pubblicazione, come i sommari, in cui egli mostra anche una vena di illustratore.
L’organizzazione interna della rivista si consolida secondo una struttura che nella prima parte dà spazio alla moda con le cronache da Parigi e Firenze; seguono argomenti vari che vanno dalla descrizione di località turistiche come la Sardegna a temi più liberi come le Fantasie magiche dei fanciulli, sul disegno infantile come forma espressiva (n. 12, 1954). Frequenti in questa sezione gli articoli dedicati alla presentazione di vecchi oggetti come orologi, stoffe, stampe, i primi periodici di moda (Sandro Piantanida, in n. 9, 1952) o le carte da gioco considerate come «arte popolare» (Vincenzo Lacorazza, in n. 8, 1952). Nell’ultima parte della rivista trovano posto la tradizionale rassegna di prodotti Bemberg e la pubblicità vera e propria, ma non mancano gli articoli tecnici dedicati ai processi di lavorazione.
Nel corso degli anni cinquanta si sviluppa molto il settore stoffe e rivestimenti per interni: inizialmente con articoli come “Vestire” la casa di Maria Pia Beltrami, infine con l’uscita di fascicoli dedicati interamente agli arredi e alla casa. Il n. 14 dell’aprile 1955 è il primo con una testata in cui compare la dicitura «arredamento». Con questo fascicolo monografico sull’arredamento, la cui copertina è di Franco Grignani e i testi di autori come Gio Ponti e Orio Vergani, si interrompe anche la collaborazione dello Studio Boggeri e di Bonini. In sommario il coordinamento e l’impaginazione sono attribuiti a Vera Rossi Lodomez, che negli anni successivi prende in mano la cura editoriale della rivista. Da questo momento in poi, i numeri dedicati agli arredi si alternano a quelli concentrati sul resto della produzione Bemberg. Essi sono contrassegnati molto meno da scelte moderniste, sia nella grafica sia nei contenuti: si insiste piuttosto sugli abbinamenti tra antico e moderno e sono numerosi gli articoli divulgativi sugli stili storici più apprezzati dal pubblico borghese. Molto spazio è dedicato anche ai paramenti e agli arredi sacri.
Con la copertina del n. 15 (ottobre 1955) si inaugura la collaborazione di René Gruau, il celebre cartellonista e disegnatore di moda italo-francese che in quegli anni curò diversi aspetti dell’immagine aziendale Bemberg. Nella seconda metà degli anni cinquanta - oltre ai fascicoli dedicati all’arredamento, di formato ridotto - escono numerosi numeri monografici dedicati ad argomenti come la nascita del filo Ortalion (n. 19, 1957) o la biancheria (n. 33, 1960).
La qualità dell’impaginazione in questi anni si abbassa notevolmente. Se le copertine continuano ad essere affidate spesso al segno inconfondibile di Gruau, le pagine interne si presentano con un aspetto decisamente più dimesso. Inoltre, a partire dal settembre 1957 (n. 22), la rivista esce in formato ridotto (16x23 cm). Soltanto con il numero 37, dell’ottobre 1961, si torna al formato tradizionale (23 x 29,7 cm): la rivista è impaginata in questa fase da Carlo Pollastrini, che negli anni successivi avrebbe dato coerenza grafica e un aspetto più moderno anche al Notiziario Bemberg.
L’ultimo numero della rivista è del luglio 1964: ha una copertina di Gruau ed è interamente dedicato all’arredamento. Bemberg chiude bruscamente con questo fascicolo, senza nessun annuncio o articolo di commiato.